venerdì 5 ottobre 2012

"Mamme nella crisi"


Save the children Italia ha recentemente pubblicato e anche presentato al Senato della Repubblica (18 settembre 2012) un rapporto che si intitola Mamme nella crisi (scaricalo qui). Si tratta di un'analisi interessante; e molto interessante è anche che qualcuno scriva di queste cose.
 

La prima parte del rapporto riprende il quadro giuridicho e culturale del rapporto tra maternità e lavoro in Italia, mentre la seconda analizza la situazione attuale. Non tutto è condivisibile, alcuni presupposti soprattutto (per me, contraccezione e interruzione volontaria di gravidanza sono due cose da distinguere e non mi sento di etichettarle insieme come 'controllo della fecondità'; curioso che lo faccia un’organizzazione denominata “save-the-children”). Ma il rapporto è un quadro coraggioso, vicino ai problemi reali (inclusi asili, rapporti familiari, numero di figli, lavoro part-time ecc.). E poi, alcune analisi sono sorprendenti. Si cancella per esempio, con un solo sguardo ai dati, l'idea che sia il Nord ricco ed educato ad avere meno figli. La tendenza sembra essere opposta: chi fa più fatica a trovare lavoro, ha meno figli. Al sud, si fanno meno figli che al nord. Il rapporto, cioè, traccia una correlazione esplicita tra solidità del lavoro (che può voler dire, possibilità di un part-time che non porti all'infarto ogni cinque minuti la sventurata lavoratrice, magari per il principio di flessibilità, che poi finisce per significare "essere disponibili sempre") e numero di figli, che sarebbe direttamente proporzionale, appunto, alla solidità del lavoro.

[A dire il vero, avevo letto altrove che in tempi di crisi le donne fanno più figli perché hanno meno certezze di prospettive lavorative. E anche questo, lo capisco benissimo. Perché fare sacrifici per un lavoro che stai per perdere? Senza un minimo di respiro, almeno, se può, uno vive il presente; o coglie l'occasione per chiedersi cosa desidera veramente e la risposta può essere inaspettata.]

 
Ma se doveste leggere il rapporto, leggete soprattutto i riquadri azzurri. Le storie vere di mamme vere che, più dei dati, danno la percezione dei problemi. C'è Bruna, finta partita iva, che nasconde la terza gravidanza per procurarsi rapporti con i clienti e non essere ostracizzata sul lavoro, almeno fino al parto. E non sopporta le primipare che ostentano la femminilità della gravidanza con adeguati vestitini. Io sono stata una primipara ostentatrice, lo confesso; ma come ti capisco adesso, Bruna; adesso che ho adottato il poncho dissimulante, per fortuna di moda in questa stagione, nel tentativo di prfoteggere il mio terzo figlio dai commenti dei colleghi. Perché lo so, che chi ha tre figli difficilmente sopravvive in università; e no, non ce l'ho ancora un piano di lungo termine; e no, non lo so, come farò con tre figli a gestire un lavoro a distanza PERCIÒ, per favore, non chiedetemi niente e lasciatemi vivere. (Per inciso, mi piacerebbe anche che gli studenti guardassero lo schermo dove proietto i lucidi PowerPoint al posto che la mia pancia, sulla quale, per altro, non proietto nulla). Come Bruna, tante altre storie, di lavori part.-time che non ci sono, asili che non ti prendono se non hai un lavoro full-time; ho letto che qualcuna fa disconoscere la paternità del figlio al padre pur di rientrare nelle graduatorie delle ragazze madri! Ingegnoso; ma triste ( e con quali conseguenze giuridiche? Non so).

Il rapporto di Save the Children Italia - poi la smetto, è l'ultima considerazione - lascia intendere che tutto ciò sarebbe un problema di arretratezza italiana, in ritardo rispetto ad altri paesi europei. Alcuni dati (per esempio, sulla diffusione del part-time) sembrano confermarlo. Ma non me la bevo del tutto. Quando ho cominciato a riflettere su queste cose, cioè quando ho cominciato a mettere in crisi l'immagine di me sul lavoro che mi ero formata, ho letto un libro, "Mama, Ph.D.", che parla di donne reduci dalla carriera accademica - alcune, ancora in servizio; altre, totalmente reinventare dopo la maternità. Una delle storie si intitola One of The boys, “una dei ragazzi”/ “una dei maschi”; ed è una storia tipicamente americana. Storia di graduate school, mobilita accademica. Un mondo di uomini e donne uomificate (passatemelo, il termine, è bello così) dove la protagonista, al solo apparire di una leggera pancetta per la prima gravidanza, vede gli sguardi di colleghi e professori trasformarsi in un continuo scrutinio. Ce la farà? A poco serve il fatto che lei fosse considerata la migliore fino a quel momento. Nei corridoi dell'università, quello che tutti credono è che all’aumentare della pancia diminuisca il cervello. Lo so bene anch’io. E non lavoro in Italia.